ELVENPATH
Gateways
Etichetta: autoprodotto
Anno: 2004
Durata: 40 min
Genere: power metal
Accidenti, sembra che la fantasia e l'originalità delle power metal
band si sia arrestata un lustro fa, assieme alla caduta dei grandi del
genere. Oggi mi ritrovo a recensire questo demo, datato 2004 ma che
potrebbe essere stato registrato almeno cinque o sei anni fa. Non
voglio accanirmi contro questi simpatici ragazzi di Francoforte che,
nella loro biografia, raccontano come nel 2001 abbiano cercato di
andare contro la tendenza della loro città, contrapponendosi al largo
espandersi del nu-metal, ma il mio compito è cercare di descrivere come
suoni la proposta musicale degli Elvenpath. Putroppo il primo termine
che associo alla musica proposta è "datata". Musiche di chiaro stampo
power, influenzate da Blind Guardian, Gamma Ray e Iron Maiden (questi,
come il prezzemolo, ci sono ovunque dal power al nu-metal, al nuovo
thrash americano!!!) e testi (ahimè) che raccontano nuovamente di terre
da liberare, spade, combattimenti e tanti altri luoghi comuni. Il demo
è composto da cinque tracce piuttosto lunghe, la cui durata media è di
sette minuti. Dovreste sapere ormai quanto sia contrario alle canzoni
lunghe che girano intorno sempre agli stessi accordi o che accennano
milioni di riff per poi non essere mai complete: ecco, il gruppo in
questione possiede entrambi i difetti. Se con la prima traccia, "The
Land That Could Not Be", la strofa e il ritornello siano senza infamia
e senza lode, la voce, molto poco curata dal missaggio, risulta poco
incisiva. Il cantato sembra trovarsi un po' fuori situazione, cosi
anche i vari cori. Il break centrale è molto interessante, ma sembra
essere stato estratto da un'altra canzone e messo lì giusto per
allungare il "brodo"; stesso discorso per la sezione acustica, che
gioca sugli stessi accordi della strofa ma con una differente melodia
vocale: insomma, una canzone che non ha un briciolo di originalità.
Con il secondo pezzo "Shade Of A Wolfsface"diminuiscono le
ritmiche serrate delle chitarre, a favore di un up-tempo dinamico,
vicino ai Gamma Ray se proprio volete un paragone. Finalmente il
ritornello è epico ed imponente come iddio comanda; molto efficaci le
due voci. Il difetto maggiore della canzone, a parte la lunghezza, sono
gli spazi troppo lunghi tra una strofa e l'altra. Ci sono una
moltitudine di riff (ne ho contati sette tra la fine del ritornello e
l'inizio della nuova strofa!) che continuano a cambiare, a mutare, a
rincorrersi, per poi improvvisamente arrestarsi facendo appoggiare una
voce che non trova ancora la sua dimensione. Grande l'assolo finale, su
di una base che come al solito si discosta troppo dalla struttura
portante.
"Amazon Queen", con i suoi 7 minuti e 20 secondi, risulta essere
il pezzo più breve del lotto! Ancora Gamma Ray, primi Helloween e Blind
Guardian le maggiori influenze. La classica speed song lanciata a tutta
birra, senza nessun cedimento (per fortuna) con un cantato di una certa
cattiveria ed il solito ritornello con i classici controcori. Una
flebile tastiera fa capolino tra la doppia cassa e il riff serratissimo
di chitarra. La canzone, se non si prolungasse per circa due minuti e
mezzo con assoli, fraseggi stucchevoli e quant'altro sarebbe una
cannonata, invece affoga in un bicchire d'acqua. Comunque valida. Con
la successiva "Winterland" si tocca l'apice compositivo. La song inizia
come un pezzo acustico, con innesti di distorsioni qua e là per i primi
cinque minuti, quasi finalizzati a preparare il gran finale,
strutturato con dei riff al limite del thrash. Compatta e diretta,
quest'ultima parte di canzone mette in mostra le idee migliori, che si
allontanano dai clichè finora presentati. La voce, soprattutto, smette
di essere vicina al Kay Hansen di turno, divenendo grintosa e non
falsettata. I "mille" riff finora sentiti finora, si fondono in un
unico refrain dal quale partono divagazioni, sempre sulle stesse
tonalità e con le medesime armonie a volte di terza, ed altre di
quinta. Insomma, un po' come fanno i Maiden, che non cambiano
totalmente tre volte le ritmiche degli assoli, ma più intelligentemente
ci girano intorno. Ottimo lavoro, ed il grande pathos interpretativo
del cantante fan di questo pezzo il punto più alto della band, che
quando vuole ci sa veramente fare, complimenti!
"The Sacred Talisman", dall'intro che fa il verso ai Black Sabbath
degli anni novanta, fa sperare all'ascoltatore che la band, con le sue
due ultime carucce, voglia presentare le idee meno stereotipate.
Sfortunatamente non è così. La canzone non è altro che un riassunto di
tutti i pezzi finora presentati. Questa riassume i pregi e i difetti
della band. Come primo pregio/difetto indico l'incapacità di fare una
strofa orecchiabile o canticchiabile, cosa che per fortuna non accade
nei ritornelli che, a parte in uno spiacevole incidente, risultano
sempre epici e curati. Come secondo pregio/difetto metto la perizia
tecnica nel comporre buone strutture portanti per i vari refrain e le
melodie, ma purtroppo il tutto risulta essere sempre troppo lungo,
finendo per annoiare l'ascoltatore. Come ultimo pregio/difetto metto il
buon cantato, che quando non vuole avvicinarsi ai big della scena è
veramente pregevole, soprattutto nelle parti più rilassate e acustiche.
Al contempo trovo sgradita la scelta di proporre, quattro volte su
cinque, un rallentamento nella parte centrale, dove viene sfoderato un
break acustico con relativa ripresa al fulmicotone, con tanto di
assoli. La produzione comunque più che buona mette in luce il lavoro di
questi ragazzi e, a parte i gusti personali, credo che a qualcuno il
demo piacerà pure: forse a qualcuno che il power non l'ha mai "cagato"
più di tanto e griderà al miracolo ascoltando una band giovane e
promettente che suoni un genere ormai in declino. Come dico sempre: ai
posteri, l'ardua sentenza.
(Hellcat - Ottobre 2005)
Voto: 7
Contatti:
Mail: metal@elvenpath.com
Sito internet: http://www.elvenpath.com/