THE PROPHECY
Into The Light
Etichetta: Code666
Anno: 2009
Durata: 58 min
Genere: gothic doom
Con molto piacere torno a parlare degli inglesi The Prophecy, di cui
avevo recensito un paio di anni fa l'ottimo "Revelations". In
quell'occasione avevo potuto constatare come la formazione albionica,
pur peccando un po' in personalità, a causa del fortissimo ascendente
che avevano su di loro band come My Dying Bride e vecchi Anathema, era
comunque riuscita a dare vita ad un lavoro ben superiore alla media,
soprattutto grazie a composizioni estremamente efficaci sia per
scrittura che per atmosfera.
Il punto di partenza per il nuovo lavoro, però, doveva essere
necessariamente un'evoluzione verso una personalità più distinta, in
modo da poter arrivare con il terzo fatidico album a quella maturità
che avrebbe permesso ai The Prophecy di staccarsi dal ruolo di
discepoli della tradizione doom/death e di raggiungere un proprio
status ben definito. Bene, devo dire con molto piacere che questo
obiettivo è stato portato a termine con successo nel nuovo "Into The
Light", affrancando la band dalla facile etichetta di fratelli minori
dei My Dying Bride (che, ricordiamo, provengono anche dalla stessa
regione dell'Inghilterra).
Con questo nuovo album i The Prophecy hanno ampliato ulteriormente
lo spettro delle loro influenze, aggiungendo ai già citati My Dying
Bride ed Anathema anche il terzo polo della triade, ovvero i Paradise
Lost, ma anche gli Opeth, soprattutto nei momenti più acustici alla
"Damnation", fino anche a classici come Black Sabbath o Pink Floyd.
Il risultato non sarà certamente originale, anche perché in questo
genere sarebbe difficile, ma indubbiamente il quadro d'insieme diventa
più evanescente, più difficile da accostare ad un singolo nome e, di
conseguenza, più personale.
A livello compositivo il gruppo porta avanti un discorso parallelo
che vede due tipologie di scrittura, che nella maggior parte dei casi
si fondono in un percorso comune. Abbiamo, quindi, composizioni
tipicamente doom/death, come l'iniziale "Into The Light", funerea e
lenta nel riffing, con il suo incedere inesorabile e maligno ben
supportato dal growling cavernoso di Matt Lawson, che però lasciano
ampio spazio a momenti di grande delicatezza, con gli strumenti che
smettono di ruggire per accarezzare invece l'ascoltatore con passaggi
raffinati in acustico. In questi momenti la voce torna a farsi pulita e
sebbene Matt non abbia ancora raggiunto quella maturità vocale che era
uno dei difetti maggiori del precedente album, bisogna dire che in
questo nuovo album sembra migliorato, pur essendo ancora lontano dalla
bravura di molti colleghi (Mikael Åkerfeldt o Aaron Stainthorpe, tanto
per citare i primi che mi vengono in mente).
Se questa struttura si ripete in molti brani, come "Don't Forget",
"Delusion" o "Belief Means Nothing", ci sono alcuni brani dove la
componente malinconica prende il sopravvento: abbiamo così l'eleganza
di "Echoes", "Waters Deep" e "Hope" (quest'ultima impreziosita da un
bellissimo finale di violoncello) che, pur non rinunciando alla
componente elettrica, prediligono una scrittura più fluida, triste e
raffinata, ancora una volta guidata dalla voce pulita di Matt.
Niente da dire, quindi: "Into The Light" è un album maturo sotto
ogni aspetto, che va premiato sia per l'ottima qualità delle
composizioni e sia per il pregevole percorso che questi ragazzi stanno
portando avanti, evolvendo la loro proposta album dopo album.
(Danny Boodman - Aprile 2009)
Voto: 8.5
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