SKY ARCHITECT
Excavations Of The Mind

Etichetta: ProgRock Records / Galileo Records
Anno: 2010
Durata: 51 min
Genere: progressive rock / metal


In una recensione scritta recentemente, ponevo l'attenzione sulla poca voglia di osare delle band proposte nell'ultimo periodo dalla ProgRock Records, come se l'etichetta statunitense non volesse rischiare e si accontentasse di mettere sul mercato prodotti professionali e di qualità, ma anche un po' standardizzati. Fortunatamente ci pensano gli olandesi Sky Architect a farmi tornare sui miei passi, grazie ad un buonissimo album progressive prodotto in collaborazione con la svizzera Galileo Records, che mostra come si possa risultare freschi e personali senza dover necessariamente inventare qualcosa di buono: basta avere il talento che indubbiamente possiedono questi ragazzi e la voglia di rimescolare un po' le carte in tavola, dosando gli ingredienti in un riuscitissimo mix tra passato e presente. Poi, certo, l'originalità non è richiesta in tutti i generi né è facile da trovare, ma credo che se c'è un genere a cui guardare per ottenerla, questo è proprio il progressive.
Torniamo però a questo quintetto proveniente dall'Olanda: la loro musica cerca di fondere il meglio della tradizione progressive degli anni '70 (ispirandosi soprattutto a gruppi come King Crimson e Gentle Giant), con i suoni e la modernità dei giorni nostri (e questa volta i nomi da fare sono Porcupine Tree e Pain Of Salvation, sebbene di metal ci sia davvero poco). Tutto questo si traduce in un'opera che getta una sguardo nelle pieghe della mente umana, cerca l'insondabile, scava nell'irrazionale e gli dà forma attraverso partiture complesse, geometriche e schizzate allo stesso tempo, che puntano alla corrente più intellettuale del progressive mantenendo comunque una chiarissima base melodica che rende il lavoro fruibile dal primo ascolto.
Entrando nel dettaglio, la scaletta dell'album può essere facilmente divisa in due parti: la prima è composta da una lunga suite suddivisa in quattro parti intitolata "Deep Chasm", mentre le restanti quattro composizioni costituiscono la seconda. Iniziamo dunque parlando delle varie sezioni di "Deep Chasm", che convince fin da subito e mostra molti punti di forza della band: tocca a "Charter" dare il via alle danze, tra arpeggi, qualche dissonanza, suoni vintage di mellotron e ma anche un tocco moderno nelle ritmiche. Il pianoforte si ritaglia il suo spazio con partiture dai richiami jazz, la chitarra solista erige costruzioni ardite che fanno tornare alla mente Steve Howe e i suoi Yes, mentre quando la distorsione si fa sentire fanno capolino i Porcupine Tree. Questa prima parte strumentale introduce il tema base della suite, che viene esplicitato in "Chime": echi pinkfloydiani guidano le melodie vocali ben congeniate mentre una ritmica secca e cadenzata contraddistingue la strofa. Il risultato è assolutamente riuscito in ogni sua parte e prosegue con grande classe quando gli strumenti si lanciano in ottime fughe tra intrecci di chitarra e tastiere nella parte centrale del brano. Un breve intermezzo di pianoforte, "Changeling", ci porta quindi nella parte finale, "Chasm" che riprende il tema portante di "Chime" per poi evolversi in un brano bizzarro che ricorda un po' i King Crimson di "Discipline".
Chiusa questa prima parte si prosegue con "The Grey Legend", altro brano piuttosto lungo con i suoi dodici minuti di durata: qui ci troviamo ancora di fronte ad un bell'esempio di progressive anni '70, con il mellotron a dominare molto spesso la scena. Poi sale ancora l'adrenalina ed ecco di nuovo gli strumenti a rincorrersi, trame strumentali, continui cambi di umore e di atmosfere che rendono il brano un'esperienza da riascoltare più e più volte. "Russian Wisdom", invece, con i suoi cinque minuti è molto più immediata, ma anche qui si sentono le influenze più disparate e se non mi credete ascoltatevi l'intermezzo che sembra risuonare direttamente dai Balcani. Certo, detto così il tutto potrebbe sembrare confusionario e troppo articolato, ma vi assicuro che gli Sky Architect hanno una buonissima capacità di sintesi e riescono a far restare stabile in (quasi) ogni occasione una costruzione così complicata.
Ancora un brano sopra i dieci minuti di durata con la title-track e qui forse per la prima volta si percepisce un momento di stanchezza compositiva: se le parti malinconiche e delicate sono ineccepibili, infatti, la componente più tipicamente progressive risulta un po' più legata agli stereotipi del genere. Niente di male, perchè la qualità è ancora buona, ma tra i vari brani vi consiglierei altro. L'album, infine, si chiude con "Gyrocopter", una breve scheggia fatta ad uso e consumo dei cinque musicisti che in poco meno di tre minuti riescono a dare un ottimo biglietto da visita delle loro capacità.
Che altro aggiungere, quindi? Un bellissimo esempio di come comporre e suonare un bell'album progressive, provando soluzioni e influenze diverse, rischiando anche di risultare fuori luogo, ma almeno provando a dire qualcosa che non sia il solito luogo comune. Bravi!
(Danny Boodman - Dicembre 2010)

Voto: 8


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