ROSWELL SIX
Terra Incognita: A Line In The Sand

Etichetta: ProgRock Records
Anno: 2010
Durata: 65 min
Genere: progressive metal


Circa un anno fa avevo avuto il piacere di recensire il primo capitolo di questo interessante progetto chiamato Roswell Six, un particolare ed efficace incontro tra narrativa e musica nato dallo scrittore Kevin J. Anderson, che aveva deciso in accordo con la ProgRock Records di pubblicare un libro fantasy la cui colonna sonora sarebbe stata un'opera di progressive sinfonico che avrebbe raccontato la storia in parallelo con i vari personaggi interpretati da noti cantanti della scena. Insomma, a conti fatti il classico concept album in stile Avantasia, Ayreon e via dicendo, con in più un vero e proprio romanzo a raccontare le gesta degli eroi e dei popoli di Tierra e Uraba.
Personalmente, pur non potendo negare il fatto che l'idea del supergruppo con ospiti d'eccezione non fosse certo nuova, avevo apprezzato il primo capitolo, "Terra Incognita: Beyond The Horizon", soprattutto per l'ottimo vestito musicale cucito dal tastierista Erik Norlander, e quindi ero curioso di sapere come si sarebbe evoluta la storia con il secondo capitolo. Quindi eccoci qui con un nuovo CD, "Terra Incognita: A Line In The Sand" e ovviamente un nuovo libro, "The Map Of All Things".
Per iniziare a parlare bene dell'album, innanzitutto bisogna sottolineare un aspetto che mi ha colto di sorpresa: davo per scontato, infatti, che sarebbe stato ancora Norlander ad occuparsi delle musiche dell'album, invece l'unico punto di contatto effettivo con il primo capitolo è il proseguimento della trama di Kevin J. Anderson, mentre la band che avevamo conosciuto come Roswell Six, a conti fatti non esiste più. Seguendo l'atmosfera del libro, che si fa più pesante e cupa, questa volta la scrittura delle musiche viene affidata ad un chitarrista, Henning Pauly, che sulle pagine di Shapeless è già comparso come leader degli Shadow's Mignon (recensiti sempre dal sottoscritto con bell'otto) e Frameshift. Oltretutto questa volta non compaiono altri strumentisti, dato che il buon Pauly si occupa di tutti gli strumenti, lasciando agli ospiti solo le parti vocali. Anche questa volta, infatti, compaiono diversi personaggi rappresentati dal grandissimo Steve Walsh (Kansas), Michael Sadler (ex-Saga), Sass Jordan, Nick Storr (The Third Ending), Charlie Dominici (ex-Dream Theater) e Arjen A. Lucassen (Ayreon).
Ecco, questa è la carta d'indentità del secondo capitolo dei Roswell Six e devo dire che mi aspettavo delle buone cose, soprattutto grazie al nome di Pauly che, appunto, mi aveva convinto parecchio con i suoi Shadow's Mignon, invece questa volta sono stato parecchio deluso dal risultato finale che mi sembra di gran lunga inferiore a quanto composto da Erik Norlander. Non si tratta di un album insufficiente, questo no, ma decisamente al di sotto delle mie aspettative e delle mie speranze. Mentre il primo capitolo, infatti, ci regalava un ottimo progressive rock dalle atmosfere pomp, solidamente appoggiato sulle tastiere di Norlander ma altrettanto ben accompagnato dagli altri musicisti; Henning Pauly vira verso un progressive metal più canonico e scontato, ben suonato, ben arrangiato, ma decisamente più carente a livello di personalità. Oltretutto quello stile magniloquente che Norlander sapeva dare alle composizioni mi sembrava molto più adatto alle atmosfere fantasy di un'opera come quella di Kevin J. Anderson, mentre questa volta non riesco a vedere la stessa armonia tra le parti. Certo, poi leggendo il libro potrei ricredermi, ma la prima sensazione è questa. Detto questo, comunque, il tutto è comunque realizzato con grande professionalità: la musica ruota molto di più intorno alle chitarre, ma comunque Pauly si rivela un buon arrangiatore ed esecutore con tutti gli strumenti e anche le tastiere non sono certo scomparse, come si può sentire sul brano di apertura "Barricade" interpretata da Steve Walsh.
Facendo una rapida carrellata di quello che potrete sentire, vi troverete di fronte a brani più tipicamente prog metal come "Whirlwind" o "When God Smiled On Us", la prima più tesa e rocciosa, mentre la seconda gioca maggiormente su atmosfere più epiche risultando decisamente più interessante. Vi imbatterete in un paio di brani interpretati dalla cantante Sass Jordan, "The Crown" e "Need", dotata di un timbro molto particolare che ricorda Geddy Lee e non farete fatica a sentire alcuni passaggi di scuola Rush, soprattutto nella prima; naturalmente non possono mancare brani più lenti come la piacevole (ma scontata) "Loyalty", cantata molto bene da Michael Sadler, con un piccolo contributo di Lucassen ai cori, oppure la già citata "Need". Allo stesso modo non stupisce la presenza di un brano strumentale, "Battleground", dove il buon Pauly può sfoggiare le sue doti da strumentista, finendo però a toccare un po' tutti i luoghi comuni del genere, compreso anche quel tocco orientaleggiante che tanto piace a molti compositori. I due brani più incisivi, a mio parere sono "My Father's Son" e la conclusiva "Victory": la prima è un pregevole esempio di prog metal dalle tinte arabeggianti che vede un ottimo duetto tra Steve Walsh e Charlie Dominici, mentre la seconda è la classica suite conclusiva che senza esagerare ('solo' 9 minuti di durata) raccoglie un po' le fila del discorso, riunendo un po' tutte le caratteristiche qui descritte in una fanfara progressive pomposa e possente con tanto di coro (You 'N' Joy Lindenholzhausen) a declamare la vittoria finale.
Che dire, quindi? Come dicevo non si tratta di un brutto album e si lascia ascoltare senza problemi, ma avendo in testa il risultato raggiunto con il primo capitolo, questo lascia un po' l'amaro in bocca, pur avendo delle buone carte da giocare. Chissà, magari continuerà a crescere ascolto dopo ascolto e magari tra un anno scriverò una postilla per alzare il voto: per adesso mi sembra un passo indietro rispetto a "Beyond The Horizon".
(Danny Boodman - Dicembre 2010)

Voto: 7


Contatti:
Sito Roswell Six: http://www.myspace.com/roswellsix

Sito Progrock Records: http://www.progrockrecords.com/