JUPITER SOCIETY
Terraform
Etichetta: ProgRock Records
Anno: 2009
Durata: 55 min
Genere: progressive metal/rock
La sempre attivissima ProgRock Records ritorna a farsi sentire con una
nuova ondata di uscite e la prima di cui vorrei parlarvi è proprio
questa seconda opera dei Jupiter Society, progetto iniziato nel 2008
con l'album "First Contact / Last Warning" dal tastierista Carl
Westholm (che qualcuno ricorderà per le sue collaborazioni con
Carptree, Krux e Candlemass). L'album era una sorta di concept
fantascientifico di stampo prog, con numerosi ospiti a mettere in
pratica le idee musicali di Westholm: insomma qualcosa che più o meno
potrebbe essere inscritto in quella categoria di cui fa parte, su larga
scala, Arjen Lucassen e i suoi Ayreon. Arriviamo quindi alla fine del
2009 ed ecco qui il seguito di quell'opera, con sempre il tastierista a
guidare la ciurma, accompagnato da nomi di tutto rispetto, tra cui
Marcus Jidell dei Royal Hunt alle chitarre, Lars Skold dei Tiamat alla
batteria, Mats Levén (ex Therion, ex Malmsteen) alla voce e Leif Edling
(Candlemass) al basso.
Sarà, come spesso accade, un pastone senza capo né coda? Oppure un buon
album? Fortunatamente si tratta del secondo caso, anzi, personalmente
ho apprezzato davvero molto l'opera di questo artista, che non si è
lasciato prendere troppo la mano, ma ha riunito dei buonissimi
musicisti in funzione di un'opera, epica, magniloquente, ma non
pacchiana. La vastità dei paesaggi interstellari viene resa benissimo
dalle ottime tastiere di Carl, che sfrutta al meglio la potenza della
tecnologia per confezionare suoni che riescono ad essere a metà strada
tra l'orchestrale e il sintetico; allo stesso modo il resto dei
musicisti si ritaglia il suo spazio, senza mai forzare nulla e, anzi,
fondendosi perfettamente nel contesto.
L'album è composto da sette composizioni, quasi tutte piuttosto
lunghe, con punte verso i 9-10 minuti: l'apertura è affidata proprio a
una di queste, "New Universe", che mostra subito le caratteristiche
peculiari del sound dei Jupiter Society: tastiere avvolgenti, chitarre
possenti e ritmi mai troppo sostenuti, dato che la dimensione del
mid-tempo è quella che riesce al meglio a conferire grandezza e
incedere epico alle composizioni. Il mio pezzo preferito, però, è il
brano seguente, "Rescue And Resurrection", interpretato in maniera
eccelsa dall'ottimo Öivin Tronstad, cantante piuttosto sconosciuto che
qui nell'album si occupa principamente delle seconde voci tranne in due
episodi: una voce splendida, che da sola alza il livello della
composizione, un'estensione invidiabile (e fin qui chissenefrega...) ma
soprattutto un controllo eccezionale della propria voce, capace di
tenere delle note lunghe con vibrante calore. Davvero, era parecchio
che un cantante non mi lasciava una così buona impressione, con buona
pace di Mats Levén, che pure non è il primo sconosciuto che passa.
Certo, anche la musica fa la sua parte, grazie ad un incedere
avvolgente e ottimi arrangiamenti di tastiere che sembrano davvero
riempire tutto lo spazio, fino a inglobare l'ascoltatore in una vera e
propria colonna sonora.
Ecco, se proprio dovessi fare una critica a questo disco sarebbe una
certa monotonia compositiva: le canzoni sono tutte di buona fattura,
però il taglio delle atmosfere resta più o meno sempre lo stesso e
francamente vorrei evitare di passare le prossime righe ad associare
variazioni sul tema di 'epico', 'sontuoso', 'maestoso', 'magniloquente'
e via dicendo. Quindi cercherò di darvi qualche altro spunto e questi
concetti dateli pure per assodati per tutta la durata dell'album.
Così passiamo ad una rapida carrellata dei restanti brani: "Cranial
Implant" gioca molto bene sull'introduzione di pianoforte e su una
certa malinconia di fondo, ma il suo punto di forza lo raggiunge
nell'ottimo intervento solista del chitarrista Kulle; "Into The Dark" è
l'episodio più breve dell'album, suonato solo con piano tastiere e
percussioni elettroniche, mentre la voce di Levén guida il tutto con
fare drammatico; "Siren's Song / Black Hole", rilegge il progressive in
chiave doom e non stupisce affatto la presenza Leif Edling dei
Candlemass in questo pezzo. "Terraform" è l'episodio più caotico e
forse anche il meno interessante, a causa di una certa ipertrofia che
stona un po'; mentre la chiusura di "Beyond These Walls You Are Not My
Master" riporta in vita il lato più progressive del gruppo, grazie ad
un incedere spezzattato e nervoso, guidato ancora una volta da Öivin
Tronstad.
Insomma, davvero un bel disco, che mostra come la ProgRock Records
abbia fiuto e sappia puntare su realtà di valore. Se amate queste
sonorità e non considerate il progressive come sinonimo di assoli
intricati e numeri da circo, allora i Jupiter Society sono una buona
scelta per voi.
(Danny Boodman - Aprile 2010)
Voto: 8
Contatti:
Mail Jupiter Society: fosfor@jupitersociety.se
Sito Jupiter Society: http://www.jupitersociety.se/
Sito Progrock Records: http://www.progrockrecords.com/