INTERNAL DISFUNCTION
Stranger In Your Own Town
(MCD)
Etichetta: autoprodotto
Anno: 2009
Durata: 21 min
Genere: glam/hard rock
Internal Disfunction... dove li ho già sentiti? Ah, sì, ecco, mi
ricordo il loro album di debutto, pubblicato nel 2006 se non sbaglio:
si intitolava "Nine Feet Under" e sinceramente non mi era piaciuto
molto. Voglio dire, questi ragazzi si presentavano con uno stile a metà
strada tra il glam, l'hard rock e il punk, roba maleducata, senza freni
e invece mi ricordo che non ci sentivo quella grinta che mi aspettavo
da loro. Così è passato un po' di tempo e adesso eccoli ancora qui,
questa volta non con un album, bensì con un semplice MCD di quattro
pezzi, che sembra un po' un segnale per ricominciare da zero, lasciando
perdere quel mezzo passo falso e cercando di rifarsi. Così "Strangers
In Your Own Town" è un buon modo per fare la conoscenza di questi
ragazzi e del loro lavoro, un CD che mostra una certa evoluzione
sebbene ci siano ancora degli aspetti che meritano riflessione e
lavoro.
Il primo punto positivo è legato alla produzione, che risulta molto più
curata che in passato: i suoni sono più aggressivi, più chiari e
riescono a focalizzare meglio la voglia di spaccare del gruppo. Questo,
in effetti, viene esaltato anche dalla capacità di scrittura che è
sicuramente maturata nel tempo. Questa volta le canzoni sono più
incisive e nelle quattro composizioni presentate si riescono a
percepire le potenzialità del gruppo, che ha saputo dosare le proprie
carte con cura, scegliendo bene i pezzi da inserire. Non tutto però va
ancora alla perfezione: a mio parere, infatti, le canzoni sono ancora
troppo lunghe, almeno nei limiti del genere, lasciando ancora spazio a
momenti prolissi; allo stesso modo non si può dire che un lavoro come
questo brilli per originalità, vivendo semplicemente sulle spalle di
Motley Crue, Guns N' Roses e un pizzico di punk rock. Certo, questo non
è un grandissimo problema, per carità, è un genere che va bene così, ma
proprio per questo bisogna puntare in alto, raggiungendo l'eccellenza.
Nonostante tutto, però, se "Nine Feet Under" a mio parere era un disco
insufficiente, questo nuovo lavoro segna un passo avanti di buon
livello.
L'attacco è affidato al brano, "Dreamers & Losers", una discreta
canzone punkeggiante, forse non molto dinamica a livello di
arrangiamenti, ma comunque adatta al contesto, soprattutto grazie ad un
ritmo sostenuto e una bella attitudine rock. Buono il ritornello che si
sposa ottimamente ad un ipotetico contesto live, che poi deve essere
sicuramente la condizione ideale per gustarsi la musica di questi
ragazzi. "Wild Life", invece, mi è piaciuta di più, sarà perchè mi
ricorda l'Alice Cooper dell'ultimo periodo (voce a parte il pezzo mi ha
ricordato diversi momenti di un album come "The Eyes Of Alice Cooper").
Continuiamo con "Some Love, Some Wine" e qui il gruppo ha fatto bene a
cambiare un po' stile, iniziando con una bella chitarra acustica per
poi lasciare spazio alle chitarre elettriche: una semi-ballad energica
e un po' malinconica che segna il momento più interessante. Con "Kisses
(In My Ashtray)", invece si torna un po' a perdersi per strada, forse
perchè il pezzo non sembra avere una identità precisa: troppo poco
adrenalinico per un pezzo veloce, troppo lungo, poca energia e melodie
dispersive. Insomma, si poteva concludere meglio.
Che altro dire? Non c'è molto altro, mi fa piacere che la band abbia
superato lo scoglio del primo album con un netto miglioramento, però è
ancora presto per cantare vittoria. Aspettiamo la prova finale su disco
e confidiamo che i risultati si facciano sentire presto.
(Danny Boodman - Febbraio 2010)
Voto: 6.5
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