FOMENTO
Either Ceasars Or Nothing

Etichetta: Coroner Records
Anno: 2009
Durata: 35 min
Genere: thrash/deathcore


I Fomento si formano nella capitale verso la fine del 2005; dopo ben tre anni di costante attività live, arrivano finalmente al debutto sulla lunga distanza, dando alle stampe, attraverso la Coroner Records, questo "Either Caesars Or Nothing", assolutamente ben accolto dalla stampa specializzata e dalla critica in generale.
E' un'introduzione strumentale a far da apripista al primo vero brano del lotto, "The Die Is Cast", che colpisce subito a fondo: suoni particolarmente asciutti e tirati, chitarre robuste e asciutte, ritmiche pulsanti e corpose per un thrash-death dalle chiare influenza hardcore. Pur mantenendo costanti rabbia ed irruenza sonore, non mancano talune aperture melodiche e passaggi leggermente più aperti, capaci di donare un maggior slancio e più consistenza al brano stesso.
Pur con le necessarie distanze, così di primo acchito, il primo gruppo che i Fomento mi riportano alla mente, lungo le note di "Pandora's Box", sono gli Slipknot di "Iowa"; la produzione, il suono in generale, il groove costante ed intenso e quest'innata capacità di risultare, nel contempo, taglienti e graffianti, pur mantenendo una notevole pesantezza di fondo. Richiamando anche band come Slayer, Pantera o Lamb Of God, è tuttavia lo spirito hardcore a prevalere sul tutto, donando ritmo, vigore ed irruenza; una spina pulsante nel fianco insanguinato.
"The 13th Demon" va a svilupparsi su una base ritmica possente ed incontrollabile; tocca alle chitarre andare a creare una serie di riff vincenti, capaci di rincorrersi, raggiungersi e superarsi nel bel mezzo di questo muro sonoro; melodie dall'atmosfera e dallo spirito malato e malsano, su cui poi Marco, il vocalist, può gridare tutta la sua rabbia ed il suo disprezzo. Ancora una volta ci troviamo al cospetto di un ottimo thrash-death, dalle strutture e dalle reminiscenze forse passate, ma dalla produzione e dai suoni assolutamente attuali.
"Kill FashionCore" non lascia dietro se alcun prigioniero; velocità ed impeto contraddistinguono il pezzo, dove, a partiture tirate si alternano, piacevolmente, passaggi più cadenzati, buona base per poter rifiatare e quindi lanciarsi di nuovo in corse senza fiato.
E' ancora il fantasma degli Slipknot a fuoriuscire lungo i solchi di "Welcome To The Brotherhood"; atmosfere e sonorità cupe, grigie e maligne; l'ennesima mazzata, un' ulteriore martellata tra i denti. Riff veloci, ritmiche avvolgenti, assoli al fulmicotone, pregni di quella strana ed orrorifica carica slayerana che tanto sembra piacere ai nostri.
Con "Faithless" l'andamento torna a farsi cadenzato, con una buona velocità di base che via, via si fa sempre più incalzante; ancora una volta sono passaggi e strutture tipicamente thrash oriented a fungere da base portante, a cui vanno ad aggiungersi elementi più moderni e legati, in particolar modo, al cosiddetto metalcore. Da qui stacchi improvvisi, una maggior irruenza esecutiva e l'utilizzo esclusivo dei cantati in screaming. Tutto sembra avere un senso, mai niente sembra lasciato al caso, ogni minimo particolare coincide andando a formare un brano incredibilmente credibile e coinvolgente.
"The End Of The Republic" e "Menticide" scorrono velocemente, confermando ancora una volta le posizioni e le qualità sonore già descritte in precedenza, condite, come se fosse possibile, da ancor maggior furia ed irruenza e da una carica emozionale ed emotiva davvero notevoli, tanto da rendere addirittura palpabili la rabbia e la violenza espresse.
Anche i brani successivi "Cotard's Syndrome", "The Egyptian March" e la conclusiva "Burial At Sea" mantengono un alto livello compositivo, forieri di continui e costanti deja-vù e richiami al più lontano, ma anche recente, passato, Slayer e Slipknot su tutti, ma anche e perché no, Hatebreed, Sepultura, Lamb Of God e via dicendo. Brani che non superano quasi mai i tre minuti e mezzo e che presi singolarmente non potranno far altro che la felicità di tutti gli estimatori del genere suddetto, soprattutto di quelli della prima ora. Chi invece ha avuto la fortuna di ascoltare i primi lavori del genere, non potrà, invece, che notare una leggera staticità di fondo ed un eccessivo immobilismo sonoro. Buonissima la produzione, direi ottima; buona anche l'idea del concept, interamente incentrato sulle millenarie vicissitudini dell'impero romano e sulle similitudini riscontrabili nei comportamenti odierni. Di assoluto valore la preparazione tecnico musicale dei nostri, ineccepibile, ma che alla lunga però sembra rendere il tutto eccessivamente freddo e standardizzato.
Grande esordio per i romani Fomento, nonostante tutto, capaci immediatamente di accaparrarsi una buona posizione nell'ideale classifica musicale del genere: non vengono dagli States o dalle terre d' Albione, ma hanno pur sempre gli attributi e le capacità necessarie per colpire nel segno. Diamogli una giusta occasione.
(Pasa - Gennaio 2010)

Voto: 7.5


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