ECHOES
Nature | Existence

Etichetta: ProgRock Records
Anno: 2010
Durata: 53 min
Genere: prog rock/metal


Gli Echoes sono una band proveniente dal Venezuela, che sicuramente non è uno dei territori più conosciuti in ambito progressive, eppure devo dire che l'ascolto di questo "Nature | Existence" mi ha decisamente convinto, sebbene, a mio parere, ci sia ancora qualche cosa da aggiustare; d'altra parte questo è l'album di debutto degli Echoes e quindi sicuramente ci sarà spazio per migliorare. Non pensiate, però, di avere a che fare con una band di ragazzini alle prime armi, visto che tutti i musicisti che prestano il loro lavoro a quest'opera sono degli esecutori di prim'ordine.
Iniziamo però facendo le presentazioni: gli Echoes sono una formazione piuttosto ampia, che comprende Javier Landaeta, Antonio Silva e Rafael Sequera alle chitarre, Jorge Rojas al basso, Alfredo Ovalles alle tastiere, Miguel Angel Moline alla batteria. A loro si aggiungo per la realizzazione del disco ben tre cantanti, Carl Webb, Nick Storr e Tobias Jansson, più altri ospiti come il sassofonista Dave Dufuss e un quartetto d'archi, l'Anechoic Chamber String Quartet. Con questa legione di musicisti questi artisti si sono rimboccati le maniche e hanno composto un elegante album progressive, a metà strada tra i Dream Theater e i Vanden Plas, senza dimenticare gli Shadow Gallery e un tocco assolutamente visibile di Pink Floyd.
Ecco, sinceramente in una normale situazione, questa premessa mi avrebbe fatto un po' sbuffare, perchè di copie dei Dream Theater se ne sono sentite davvero a bizzeffe, invece l'ascolto mi ha fatto cambiare idea, tant'è che, se è vero che non abbiamo a che fare con un lavoro perfetto, è anche vero che sono assolutamente curioso di sapere cosa sapranno fare questi ragazzi in futuro. Sì, perchè è vero, ogni tanto ci sono dei passaggi noti e stranoti, delle cadute di tono nella banalità più totale del genere, ma poi in qualche modo gli Echoes trovano la strada giusta, infilano una marcia in più e si lasciano molti colleghi alle spalle a mangiare la polvere. Il che, volendo, da una parte mi fa innervosire ancora di più quando sbagliano, ma dall'altra fa sì che ci si aspetti ottime cose da parte loro.
Per esempio, si fa apprezzare parecchio l'inizio dell'album, fina dall'introduzione "Epilogue (...Is Where We Start)", due minuti strumentali tra tastiere sinfoniche e un'ottima melodia dettata dalla chitarra elettrica solista, che sfociano poi nel primo brano vero e proprio, "Rude Awakening", dove il pianoforte e le chitarre acustiche sfociano in un bel crescendo elettrico, guidato sapientemente dalla voce di Carl Webb (che mi ha ricordato un po' l'immenso Glenn Hughes). Poi però mi scadono subito in "Leaf Motif", una robetta sdolcinata scopiazzata ai Dream Theater con quelle atmosfere da 'riflettiamo sul senso della vita' che è ormai uno dei peggiori cliché del prog intero. Discorso simile per "Lullaby", dove si torna a cercare il virtuosismo fine a sé stesso a discapito della personalità: il tutto è suonato benissimo, ma da questo punto di vista la concorrenza non manca. Molto meglio la succesiva "Bonfires", un altro strumentale, ma con più anima e qualche passaggio più interessante a livello melodico.
Si continua quindi così anche nella sezione centrale dell'album, con risultati altalenanti che passano dalla più canonica, ma comunque sufficiente, "Unfair"; l'intermezzo acustico/sinfonico di "Seasons Came To Pass", toccante in alcuni momenti, e la noiosa "Far From Coincidence", un altro bel concentrato di luoghi comuni.
Sul finale, invece, non ho proprio niente di male da dire, grazie alla più dinamica e pregevolissima composizione strumentale "Despair", abbellita non poco dall'intervento del sax e dal caldo utilizzo delle chitarre acustiche in alcuni frangenti; oppure la malinconica "Winds Of Dread", dove il languido suono della slide guitar si aggiunge al sax per un lento assolutamente degno di nota. E cosa dire, poi, di "Farewell"? Una meravigliosa pagina di musica da camera dove al pianoforte triste e dolente di Ovalles si aggiunge l'elegante vestito di archi dell'Anechoic Chamber String Quartet, arrangiato ottimamente dal bassista Jorge Rojas.
Si chiude, quindi, a cerchio con "Prologue (Where We End...)", ancora un ultimo pezzo strumentale, che riprende un po' quanto detto finora, tra chitarre acustiche, momenti di elegante malinconia e aperture elettriche di ottima fattura.
Giuro, non ho idea di che voto dare a questo CD. Ci sono dei picchi notevolissimi e delle cadute di tono altrettanto profonde... Il mio consiglio è di provare ad ascoltare qualcosa, perchè sarebbe un peccato lasciarsi perdere in toto questo lavoro, che vi assicuro merita molta attenzione. Allo stesso tempo, però, non voglio dare un giudizio che sia totalmente partigiano e che dimentichi alcuni evidenti difetti. Oh, via, chi se ne frega del voto, ora ci penso, voi intanto fatevi la vostra idea!
(Danny Boodman - Giugno 2010)

Voto: 7.5


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