JASON BECKER
Perpetual Burn
Etichetta: Shrapnel / RoadRunner
Anno: 1988
Durata: 42 min
Genere: Metal neoclassico strumentale
Non ho voglia di descrivere nota per nota la grandezza di "Perpetual Burn",
tanto lo so, non sarei capace di descrivere quali e quante sensazioni
producono le mani di Jason Becker mentre sfiorano sei corde di metallo, che
pochi hanno il dono di rendere magiche. PB non è solo l'ennesimo
album di un guitar hero qualsiasi uscito negli anni '80, le sue note ti
stregano, al suo interno aleggia un'atmosfera quasi mistica che lo rende
unico. Sicuramente quando uscì non ricevette i consensi che meritava, ma
provo ugualmente un immenso piacere sentire molti nuovi musicisti che lo
citano tra i loro maggiori ispiratori.
L'album uscì agli inizi del 1988, quando il mercato degli album strumentali
era arrivato quasi alla saturazione, ma Jason, nonostante prendesse spunto
dai grandi del genere (Malmsteen su tutti), ebbe il pregio di andare oltre.
Allo sfruttatissimo filone neoclassico, nato dall'estremizzazione delle idee
di sua maestà Ritchie Blackmore (ed io aggiungerei il sottovalutato Uli Jon
Roth) che diede in un certo senso vita al genere, Jason inserì molti
elementi propri, nati dalla sua grande esperienza e personalità.
Volete un esempio? "Altitudes", che personalmente ritengo il suo picco
compositivo, è incredibile, già dalle prime angeliche note di
tastiera (queste ultime importanti per la riuscita dell'album) verrete
investiti da una marea di emozioni, provocate dalla sensibilità quasi
eccessiva che il chitarrista ha utilizzato per mettere ogni nota al punto
giusto, dovete assolutamente ascoltarla.
La title-track fu la prima canzone che ascoltai di Jason, mi prestarono una
cassetta con canzoni di vari chitarristi, ed io lo scambiai per Marty
Friedman. Al periodo non sapevo neppure chi fosse questo Jason Becker, in
fondo poi, per chi non li conosce bene, le differenze sono minime (visto che
i due che nella prima fase della loro carriera erano quasi un'entità unica): prima
tra tutte, l'amore smodato di Jason per la musica classica, cosa molto meno
marcata in Marty, più orientato su sonorità esotiche; un'altra differenza
era l'uso della leva o tremolo, che personalmente adoro, Jason colorava ogni
brano con esso, attraverso tante piccole sfumature, mentre Marty non ne ha
mai fatto uso, salvo rarissimi casi.
Dicevamo della title-track: un vero esempio di come andrebbe usata la
tecnica, senza mai scadere nel patetico. Poi, verso la fine della canzone, vi
invito ad ascoltare cosa fa Jason, sembra abbia le dita fuori controllo,
tanta è la velocità di esecuzione, seguito a ruota da Atma Anur, batterista
di colore presente nei due album dei Cacophony, penso che al posto degli
arti abbia dei martelli pneumatici.
Cosa dire poi di "Mabel's Fatal Fable", altro pezzo da infarto, al suo
interno troviamo un po' di tutto: inizio alieno alla Steve Vai, plettrate
alternate da infarto, goduria totale a metà canzone, dove potrete ammirare
quello che vi accennavo prima sulla leva e la precisione chirurgica di cui
Jason ne fa uso.
Altra canzone, altro capolavoro con "Air", quarta traccia che dedica ai
genitori, forse per ringraziarli del sostegno che gli hanno sempre dato, è
da quando aveva tre anni che iniziò a suonare la chitarra. E che dedica
ragazzi, una composizione di pura musica classica (non chiedetemi di che
periodo, forse Barocco) suonata esclusivamente con le chitarre, più qualche
linea di basso e dei tappeti di tastiera. Potrebbe ricordare alcune cose
strumentali di Steve Howe (Yes), da non perdere la parte in cui due chitarre,
sembrano sfidarsi a duello, ognuna esegue una parte diversa dall'altra ad
una velocità molto sostenuta.
Per giustificare l'acquisto dell'album, basterebbero queste quattro canzoni,
ma troviamo ancora "Temple Of The Absurd" ed "Eleven Lue Egyptians" scritte
insieme a Marty, e si sente. Sono le meno riuscite, non che siano brutte,
assolutamente no, solo che non raggiungono il livello delle altre canzoni.
Sembra facciano parte del repertorio dei Cacophony, infatti presentano le
stesse caratteristiche, ritmiche pesanti ma poco efficaci, assoli grandiosi,
in questo caso con alcuni spunti blues, che risollevano le sorti delle
canzoni.
Decisamente migliori "Dweller In The Cellar", sempre insieme a Marty, ma
scritta dal solo Jason, e "Opus Pocus", dalle trascinanti melodie cinesi,
chiara influenza ereditata da Marty.
Sappiamo tutti la sfortuna che ebbe Jason, la malattia che nel 1989 lo
colpì (ALS - Lou Gehrig's Disease), lo avrebbe portato alla paralisi totale nel
giro di pochi anni. Nonostante tutto, la sua grande forza di volontà ha
fatto in modo che i pochi anni di vita che gli vennero diagnosticati si
trasformassero, ad oggi, in 14 anni. Oggi Jason vive tra l'affetto dei
familiari e dei tanti amici musicisti, che poco tempo fa hanno inciso due
ottimi tributi usciti per la Lion, che donerà tutti i proventi per le cure
mediche che ogni giorno Jason deve affrontare.
(carma1977 - Maggio 2003)
Voto: 9.5
Contatti:
Sito internet: http://www.jasonbecker.com/
Di tutti gli album di guitar hero usciti negli anni '80, questo è quello che mi piace di più. Basta ascoltare "Air" per restare estasiati e con la bocca aperta per un'ora di fila. Semplicemente un album obbligatorio per tutti i metallari.
(teonzo - Maggio 2003)
Voto: 10